Le lesioni ai flessori della coscia

Questi muscoli (che sono tre, il semitendinoso, il semimembranoso ed il bicipite femorale) sono i più comunemente lesionati nel calcio professionistico e amatoriale, cubando circa il 16% degli infortuni.

La causa è spesso un’ eccessiva sollecitazione, ed è più frequente in mancanza di allenamento, eccessiva stanchezza o movimento brusco a freddo.

E’ una problematica che richiede immediatamente riposo e ed è tra gli infortuni con maggior rischio di recidiva.

A volte può essere necessaria una risonanza magnetica per constatare la lesione da fronteggiare e per localizzarla con esattezza.

La gravità della lesione è classificata su una scala da 1 a 3.

La lesione di primo grado è una lesione lieve, in cui il tessuto danneggiato è inferiore al 5%. L’atleta avverte solitamente un fastidio più o meno lieve.

La lesione di secondo grado è caratterizzato da un dolore acuto, in seguito ad una contrazione muscolare.

La lesione di terzo grado è una lacerazione completa o quasi, dove anche alla palpazione si avverte uno “scalino”.

L’infortunio più frequente è la lesione parziale, comunemente trattata con riposo, compressione, antinfiammatori e terapie fisiche.

La lesione completa è fortunatamente molto meno frequente, e può richiedere anche l’intervento chirurgico.

Si può ed è bene prevenire questo fastidioso infortunio eseguendo sempre un buon riscaldamento, compire sforzi intensi a seguito di una buona preparazione atletica ed eseguire con una certa regolarità esercizi di allungamento.

Come prevenire l’artrosi di ginocchio negli sportivi giovani

Sempre più persone che amano fare il proprio sport a buon livello incappano in problemi di artrosi in età ancora giovane.

Le cause principali che portano a questa problematica negli sportivi rimangono i traumi, ma è chiaro che le sollecitazione di anni di attività portano alla degenerazione della cartilagine, e di conseguenza l’artrosi.

Da qualche anno, nelle fasi iniziali dell’artrosi è possibile intervenire con i trattamenti di Medicina Rigenerativa, come ad esempio il PRP o l’utilizzo di cellule staminali.

Grazie a questi trattamenti riusciamo a rallentare la progressione della patologia, consentendo all’atleta la possibilità di praticare la propria attività sportiva senza dolore e senza limitazione di funzionalità.

Nelle fasi avanzate, questi trattamenti hanno una bassa efficacia e la strada da percorrere rimane quella dell’intervento chirurgico.

Il consiglio è quindi quello di effettuare la visita specialistica ed i relativi esami di indagine diagnostica quando ancora il dolore è limitato, prendendo in tempo questa patologia e garantendosi quindi la possibilità di prolungare di un periodo importante della propria vita il benessere ed il divertimento di praticare attività sportiva stando bene.

La protesi di ginocchio: differenze e riabilitazione

L’artrosi è una patologia che prevede la graduale usura dell’articolazione causando perdita di cartilagine, danni all’osso subcondrale e modifiche strutturali del ginocchio. Colpisce più frequentemente le persone anziane, ma sempre di più interessa anche pazienti giovani, in particolare a seguito di traumi, interventi ( meniscectomie) o presenza di deviazioni assiali del ginocchio.

La persona soffre di dolore crescente all’articolazione, con progressiva limitazione della funzionalità alla flesso-estensione, fino ad arrivare a difficoltà anche a svolgere attività semplici come camminare o fare le scale.

Si prende in considerazione l’intervento di protesi quando i trattamenti non chirurgici, come riposo, antidolorifici, infiltrazioni, riabilitazione non risultano più efficaci e gli esami strumentali, tra cui fondamentale è una corretta radiografia sotto carico che permette la classificazione dell’artrosi, confermano la gravità dell’artrosi.

L’intervento chirurgico di protesi del ginocchio prevede la sostituzione dell’articolazione attraverso un impianto che riproduca il giusto allineamento.

Il ricovero avviene il giorno precedente l’intervento per poter effettuare gli esami preparatori e la visita dell’anestesista.

Il posizionamento della protesi viene preceduto da un attento planning preoperatorio.
Ci affidiamo, soprattutto nei casi più complicati, alla preparazione con TC, dato che stiamo introducendo l’ausilio robotico.
Le estremità del femore e della tibia vengono preparati in maniera estremanente attenta per ricevere l’impianto protesico scelto. Al femore si dovrà adattare un piatto tibiale nuovo. Appositi strumentari consentono di scegliere la giusta taglie al fine di ricreare la giusta biomeccanica del ginocchio.
In mezzo viene inserito uno spaziatore che ha il compito di sostituire la cartilagine, con la funzione di proteggere ed assorbire i carichi tra femore e tibia.

L’intervento di protesi del ginocchio ha una durata compresa tra un’ora e le tre ore, a seconda della complessità del paziente e del ginocchio.
Da sempre adotto tecniche di chirurgia MIS, Minimal Invasive Surgery, che garantiscono una ridotta incisione chirurgica, un notevole risparmio dei tessuti e ci consentono di utilizzare strumentari dedicati determinando un evidente miglioramento nei risultati clinici.

Il ginocchio è diviso in tre grandi compartimenti, interno, esterno e femoro-rotuleo.
Possiamo optare per diversi tipi di protesi, in relazione alla patologia del paziente e alle sue particolari esigenze.

Protesi monocompartimentali

L’artrosi di ginocchio può essere limitata ad un solo compartimento del ginocchio (sia interna che esterna), per cui è possibile optare per la sostituzione di un solo compartimento dell’articolazione.
Questo tipo di protesi è indicata in situazioni in cui incontriamo un articolazione stabile e un artrosi localizzata, senza importanti deviazioni del ginocchio, in genere in persone ancora giovani oppure sopra gli 80 anni.
Tra i casi che possiamo incontrare, più frequente è quella relativa alla sostituzione del compartimento interno o mediale.
Importante è anche la possibilità, grazie a nuovi modelli protesici a nostra disposizione negli ultimi anni, di eseguire maggiormente interventi di protesi rotulea, nel caso incontriamo una patologia degenerativa dell’articolazione femoro-rotulea.

Numerosi studi evidenziano, a fronte naturalmente  dell’indicazione corretta, come i risultati clinici dei pazienti operati dei protesi mono sono eccellenti.
D’altra parte i vantaggi rispetto alle protesi totali sono molteplici, tra i principali minor dolore, minor perdita di sangue, recupero rapido, minor cicatrice e soprattutto la sensazione della persona di un ginocchio naturale, vista la conservazione dei propri legamenti.

Protesi totali

La protesi totale del ginocchio va a sostituire tutti i compartimenti del ginocchio, consentendo di riprodurre le sue funzioni naturali.
Studi biomeccanici e clinici ed evoluzione dei materiali hanno portato le attuali protesi di ginocchio ad essere sistemi altamente performanti.
In relazione al paziente ed alla sua patologia, troviamo protesi che “sacrificano” il legamento crociato posteriore (LPS) e altre che invece conservano il legamento crociato posteriore (CR) . Oggi, grazie all’innovazione tecnologica nel campo della chirurgia, abbiamo a disposizione protesi in grado di conservare entrambi i legamenti crociati.

L’intervento di protesi al ginocchio viene attualmente considerato un’intervento sicuro, con una bassa percentuale di complicanze, anche se sempre da considerare, e consente un ritorno alla vita quotidiana senza dolore.
Il risultato finale dipenderà dalla tecnica chirurgica appropriata, dal tipo di paziente e anche da un percorso riabilitativo pre e post-operatorio, condiviso e seguito con il chirurgo.
Tutti questi passi del percorso chirurgico, potranno portare il paziente a riprendere le sue attività, fino a consentire anche attività sportive come tennis, bicicletta e golf.

Anche come durata sono stati fatti notevoli miglioramenti. Oltre il 90% delle protesi totali del ginocchio ha una durata di 15 e oltre dall’intervento, e per quanto riguarda le protesi impiantate negli ultimi anni, c’è da aspettarsi una percentuale di durata ancora maggiore.

La durata e la longevità della protesi dipendono indubbiamente dal corretto impianto chirurgico, ed anche dal corretto utilizzo che il paziente ne farà dopo l’operazione. Qualsiasi protesi è soggetta a usura in corrispondenza dello polietilene, cioè della parte che sostituisce la cartilagine. Un peso corporeo eccessivo, un’attività sportiva troppo impegnativa, lavori usuranti o traumi possono compromettere la durata della protesi, con eventuale possibilità di revisione.

La riabilitazione dopo l intervento rappresenta un passo importante nel percorso di cura del paziente verso la ripresa delle sue attività e ne determina, come detto, il risultato finale
La fase riabilitativa rientra nel cosidetto percorso “fast track” applicato all’intervento, ossia una serie di passi nel percorso di cura al fine di incrementare i risultati, diminuire il dolore, velocizzare il recupero articolare, ridurre la degenza, cercando di rendere l’intervento di protesi un intervento più “semplice” per il paziente.

Tutta questa fase va sempre seguita da professionisti e supervisionata dal chirurgo.

La terapia infiltrativa in Ortopedia

La terapia infiltrativa ha acquistato negli anni sempre maggiore importanza nel trattamento delle patologie dell’apparato muscolo-scheletrico affiancandosi alle terapie chirurgiche, mediche e riabilitative.

La corretta esecuzione della terapia infiltrativa richiede conoscenza dell’anatomia articolare, manualità e giusta scelta delle indicazioni e dei pazienti.

L’infiltrazione può interessare all’interno dell’articolazione o essere pero-articolare, agendo direttamente sul sito di interesse, ossia borse sierose, guaine tendinee, processi infiammatori.

È possibile infiltrare con acidi ialuronici, anti-infiammatori, fattori di crescita o altri preparati al fine di agire con funzione antalgica, ma anche con funzione di visco-supplementazione o visco-induzione o ancora con funzioni rigenerative.

Alcuni articolazioni possono essere infiltrate con opportuna tecnica senza ausilio di esami strumentali, per altre articolazioni come anca e spalla ci si avvale dell’ausilio dell’ecografia che permette di evidenziare al meglio i tessuti, valutarne l’integrità e guidare al meglio la nostra infiltrazione.

Importante, infine, la massima sterilità durante la tecnica infiltrativa.

➡ INFILITRAZIONI CON ACIDO IALURONICO

L’acido ialuronico rappresenta un dei componenti fondamentali dei tessuti connettivi dell’organismo. È un polisaccaride con elevato peso molecolare e alta viscosità.

L’acido ialuronico a livello articolare è un componente del liquido sinoviale e contribuisce alla lubrificazione della articolazione, ad attutire gli stress meccanici e a proteggere la cartilagine.

Il suo principale utilizzo in ortopedia è nelle osteo-artrosi di articolazione come ginocchio, spalla e anca, dove si verifica una riduzione della viscoelasticità del liquido sinoviale e una riduzione della sintesi dell’acido ialuronico articolare.

Le funzioni dell’iniezione di acido ialuronico sono la riduzione del dolore, il miglioramento della mobilità articolare e prevenzione del danno cartilagineo, aumento della densità dei condrociti e un effetto antiinfiammatorio.

La terapia infiltrativa à indicata negli stadi iniziali dell’artrosi e su articolazioni non particolarmente infiammate, in quanto la presenza di enzimi litici ne ridurrebbe gli effetti.

Altra indicazione possono essere invece i pazienti con artrosi gravi e quadro clinico che sconsiglia un intervento chirurgico.

Esistono differenti categorie di infiltrazioni di acido ialuronico, ottenute con metodologie differenti che si distinguono in base al peso molecolare con prodotti a basso-medio peso, con funzione induttiva e ad alto peso molecolare, con funzione principalmente meccanica.

A seconda del prodotto e delle indicazioni, le posologie saranno differenti e da pianificare con il medico.

Le infiltrazioni di acido ialuronico ( esegue con regole di asepsi) sono sicure e ben tollerate, con pochi effetti avversi come gonfiore e dolore.

➡ INFILTRAZIONI CON CORTISONICI

La terapia infiltrativa con farmaci pseudo-cortisonici è molta discussa nella patologia ortopedica.

L’infiltrazione prevede l’iniezione del farmaco direttamente nel sito di interesse allo scopo di sfruttare gli effetti terapeutici del cortisone e ridurre gli effetti collaterali dell’assunzione prolungata per bocca.

Grazie all’effetto immediato anti-infiammatorio e immuno-soppressore, il cortisone può determinare una rapida riduzione del dolore e del versamento nella fase acuta della malattia. Spesso viene utilizzato in unione ad un anestetico come la lidocaina.

Il tema principale riguardante l’utilizzo delle infiltrazioni con cortisonici è l’uso limitato al trattamento di stati infiammatori acuti, caratterizzati da dolore intenso, limitazione funzionale, versamento o in condizioni particolari scelte dal medico e devono essere inserito in un più ampio protocollo di cura.

L’abuso di questi trattamenti infiltrativi può determinare infatti complicanze degenerative per l’articolazione o ancora effetti avversi sistemici.

➡ INFILTRAZIONI CON TERAPIE RIGENERATIVE

La terapia infiltrativa nel corso degli anni si è evoluta e si è affiancata ed avvicinata alla medicina rigenerativa con lo scopo ambizioso di favorire la rigenerazione dei tessuti biologici danneggiati.

Le patologie cronico-degenerative muscolo-scheletriche sono determinate dal progressivo invecchiamento tissutale compromettendo innanzitutto il tessuto cartilagineo.

Appare quindi evidente come agire tempestivamente nel fermare o migliorare la progressione della degenerazione può essere decisivo per recuperare la funzionalità dell’articolazione ed evitare interventi futuri.

La medicina rigenerativa sfrutta le potenzialità dei concentrati cellulari che derivano da tessuto adiposo, dei fattori di crescita piastrinici e delle cellule mononucleate da sangue periferico con modalità e indicazioni precise

La coxartrosi o artrosi dell’anca

L’ artrosi dell’anca è una delle patologie più frequenti nell’ambito della chirurgia ortopedica.

La coxartrosi prevede la graduale usura dell’articolazione determinando perdita di cartilagine determinando una grave limitazione nella vita del paziente.

Negli ultimi anni abbiamo assistito allo sviluppo di impianto protesici sempre più sofisticati e nuovi, garantendo una durata sempre maggiore e performance migliori ai pazienti. Vi è pertanto una crescente importanza al recupero funzionale dopo un intervento all’anca, alla fase riabilitativa e al rapido ritorno alle normali attività.

Negli ultimi anni sono state adottate alcune innovazioni nel percorso di cura con adozione del protocollo Fast Track, praticato largamente negli Stati Uniti e Nord Europa, che prevede una gestione medica e chirurgica per ridurre lo stress operatorio iniziando dall’educazione del paziente, da approcci meno invasivi, controllando il dolore e le perdite di sangue in maniera da eseguire precocemente la riabilitazione e determinare un rapido recupero.

Questo articolo contiene informazioni sull’intevento all’anca e consigli da adottare nelle diverse fasi del percorso chirurgico-riabilitativo in quanto l’educazione del paziente, l’informazione e la partecipazione ad un programma di riabilitazione condiviso hanno lo scopo di migliorare notevolmente il processo di recupero dopo un intervento di protesi di anca. Il paziente è parte attiva di questo percorso.

COSA CAUSA LA COXARTROSI

L’articolazione dell’anca può essere danneggiata da diverse patologie che ne determinano l’usura e la compromissione.

La più frequente è l’artrosi primaria che colpisce più frequentemente le persone anziane dovuta al consumo graduale articolare, ma si può riscontare anche in soggetti più giovani.

Cause possibili di degenerazione possono essere forme secondarie come l’Artrite reumatoide o altre forme di malattie autoimmuni, esiti di fratture-lussazione del femore o del bacino, artrosi secondarie a displasia congenita o epifisiolisi o ancora necrosi avascolare dell’epifisi femorale.

La coxartrosi causa dolore e rigidità articolare determinando limitazione funzionale e difficoltà anche a svolgere attività semplici come camminare o mettersi le calze o scarpe.

La diagnosi di coxartrosi è determinata ovviamente dalla clinica del paziente e dall’esito degli esami strumentali. La semplice radiografia del bacino e laterale dell’anca definisce in maniera accurata il grado di artrosi individuando i casi più gravi in cui lo spazio articolare è minimo con contatto tra acetabolo e epifisi femorale. Nei casi più complessi è di aiuto la TC
(anche con ricostruzioni tridimensionali) o RMN ad esempio nei casi di necrosi avascolare.

IN COSA CONSISTE L’INTERVENTO DI PROTESI DI ANCA PER VIA MINI-INVASIVA

L’intervento chirurgico di protesi dell’ anca ha lo scopo di sostituire l’articolazione con impianto che riproduca la meccanica dell’anca nativa.

Il paziente viene preparato all’intervento tramite un pre-ricovero, in cui si spiega l’intervento, le possibili complicanze, si eseguono esami ematici, nuovi esami strumentali e visite anestesiologica e internistica.

Le anestesie più comuni sono l’anestesia spinale o generale.

L’intervento di protesi del ha una durata compresa tra un’ora e le tre ore, a seconda della complessità del paziente.

Da sempre adottiamo tecniche di chirurgia MIS, Minimal Invasive Sur-gery, che consistono nel rispetto di principi base, come ridotta incisione chirurgica, risparmio dei tessuti, strumentari dedicati che determinano un evidente miglioramento nei risultati clinici.

L’approccio chirurgico che attualmente utilizzo è un accesso mini-invasivo anteriore ( longitudinale o a “bikini”) che prevede il passaggio tra il muscolo tensore della fascia e il sartorio, quindi raggiungendo l’articolazione dell’anca senza danneggiare nessun muscolo.

Altre vie d’accesso che possono essere utilizzate a seconda del pazien-te, possono essere un accesso mini-invasivo postero-laterale che sa-crifica parte dei muscoli extra-rotatori, oppure una via d’accesso mini-invasiva laterale o laterale diretto che prevede una disinserzione parziale dei glutei.

Indipendentemente dall’approccio utilizzato, successivamente viene ri-mossa la testa del femore degenerata e successivamente preparato l’alloggiamento protesico nell’acetabolo e nel femore.

Vengono quindi impiantate le componenti protesiche, inserite nella maggior parte dei casi a pressione “press fit”, più raramente, qualora la qualità dell’osso non sia ottimale, con ausilio di cemento

L’accoppiamento tra le due componenti e la giusta articolarità vengono determinate da un inserto all’interno della componente acetabolare e da una testina sullo stelo femorale

Esistono tantissimi modelli protesici, sia tradizionali sia di nuova gene-razione che utilizziamo, così come esistono diversi materiali per l’accoppiamento tra acetabolo e stelo, scelti in base al tipo di paziente, all’età, alle richieste funzionali ( in genere utilizziamo ceramica-ceramica e polietilene e ceramica)

Una volta impiantate le componenti, si eseguono tests per saggiarne la motilità e la stabilità e la metria, al fine di controllare l’impianto eseguito ed evitare complicanze post-operatorie.

La lesione della cuffia dei rotatori

Che cos’è la cuffia dei rotatori, lesione e sintomi e fattori di rischio

La cuffia dei rotatori è una struttura anatomica fondamentale per la meccanica della spalla ed è formata da quattro tendini di relativi muscoli che sono anteriormente il sottoscapolare, posteriormente il sottospinoso e piccolo rotondo e superiormente il sovraspinoso.

Agendo in maniera coordinata sono responsabili della stabilità dell’articolazione, mantenendo la testa omerale centrata nelle glena e dei movimenti rotazionali della spalla.

All’interno della cuffia, in un intervalle tra sottoscapolare e sovraspinoso, passa il tendine del capo lungo del bicipite anch’esso importante nell’ equilibrio articolare.

Internamente la cuffia riveste l’articolazione, superiormente alla cuffia troviamo un tessuto denominato borsa che riduci gli attriti tra acromion e tendini

COME AVVIENE LA LESIONE

Una lesione della cuffia dei rotatori è una condizione molto comune nella pratica ortopedica e nella maggior parte dei casi dipende da un processo degenerativo del tessuto tendineo, lento a causa del continui stress dell’articolazione e del consumo nel tempo dei tendini.

Pertanto, l’incidenza di lesione degenerativa della cuffia cresce con l’età. Il tendine più coinvolto è il sovraspinoso, per la sua posizione critica e soprattutto in soggetti con lavori usuranti e ripetitivi ma anche gli altri tendini possono essere coinvolti.

Altra causa di lesione della cuffia può essere un trauma a seguito di una caduta, di uno strappo o di sforzo nel sollevamento di pesi. In questi soggetti, spesso il trauma si associa ad un iniziale fenomeno degenerativo che ne facilita la lesione.

QUALI SONO I SINTOMI E I FATTORI DI RISCHIO PIU’ COMUNI

i sintomi più comuni di una rottura della cuffia sono il dolore, in genere a riposo e notturno e durante i movimenti del braccio, la perdita di forza. In caso di lesioni degenerative il logorio tendineo avviene nel tempo pertanto la sintomatologia può essere inizialmente lieve e presente solo in alcuni movimenti, permettendo alla spalla di trovare un compenso e successivamente peggiorare nel tempo.

I sintomi sono più evidenti e limitanti nelle lesioni acute, traumatiche con dolore intenso irradiato anche all’intero braccio, con limitazione importante nell’articolarità.

Fattori di rischio possono essere attività sportive con alta incidenza di traumatismi alla spalla come lanciatori di baseball o tennisti o attività lavorativa con sollevamenti di peso dietro la testa ( lavoatori overhead)
Nelle lesioni degenerative possono interferire fattori legati a patologie metaboliche (diabete) o abitudini di vita (fumo) che diminuiscono la vascolarizzazione del tendine.

La protesi di ginocchio

L’artrosi di ginocchio è una delle patologie più frequenti nell’ambito della chirurgia ortopedica.

L’artrosi prevede la graduale usura dell’articolazione determinando perdita di cartilagine, danni all’osso subcondrale e modifiche strutturali del ginocchio. Questo causa dolore e tumefazione all’articolazione determinando limitazione funzionale alla flesso-estensione fino a difficoltà anche a svolgere attività semplici come camminare o fare le scale.

La limitazione è ancora più importante se il paziente è una persona sportiva o particolarmente attiva.

La decisione di operabilità, oltre che dalla clinica, è dato dagli esami strumentali, tra cui fondamentale è una corretta radiografia sotto carico che permette la classificazione dell’artrosi individuando i casi più gravi in cui lo spazio articolare è minimo con ormai contatto osseo.

Negli ultimi anni le tecniche chirurgiche sono migliorate e si sono sviluppati impianti protesici sempre più sofisticati, con materiali innovativi che permettono bassa usura e lunghe sopravvivenze della protesi.

Vi è pertanto una crescente importanza al recupero funzionale del ginocchio, alla fase riabilitativa e al rapido ritorno alle normali attività. Negli ultimi anni sono state adottate alcune innovazioni nel percorso di cura con adozione del protocollo Fast Track, praticato largamente negli Stati Uniti e Nord Europa, che prevede una gestione medica e chirurgica per ridurre lo stress operatorio iniziando dall’educazione del paziente, da approcci meno invasivi, controllando il dolore e le perdite di sangue in maniera da eseguire precocemente la riabilitazione e determinare un rapido recupero.

L’articolazione del ginocchio può essere danneggiata da diverse patologie che determinano la compromissione della sua corretta funzionalità:

La più frequente è l’artrosi idiopatica , ossia un processo degenerativo cronico che colpisce più frequentemente le persone anziane.

L’artrosi, inoltre, può essere secondaria a malattie infiammatorie su base autoimmune ( artrite reumatoide) oppure di natura traumatica, esiti di fratture o osteotomie, alterazioni strutturali congenite, oppure dovuta a necrosi ischemiche.

La gonartrosi causa dolore e rigidità all’articolazione determinando limitazione funzionale alla flesso-estensione fino a difficoltà anche a svolgere attività semplici come camminare o fare le scale.

Prima dell’intervento è utile una assistenza riabilitativa per preparare il paziente, ridurre il dolore del ginocchio, educarlo a eseguire al meglio anche semplici attività come alzarsi dl letto, salire e scendere le scale, ad usare correttamente gli ausili per la deambulazione.

È importante prima dell’intervento iniziare o mantenere una adeguata attività fisica per favorire l’attivazione muscolare non solo del ginocchio ma anche di altri distretti, in modo da rendere più agevolo il recupero funzionale

L’intervento di protesi del ginocchio consiste nel sostituire le parti danneggiate mediante posizionamento di componenti artificiali meccaniche e di polietilene. L’intervento ha una durata compresa tra un’ora e le tre ore, a seconda della complessità del paziente e del ginocchio. Prima dell’intervento sarete sottoposti ad un pre-ricovero per valutare le condizioni generali per correggere eventuali condizioni che possono aumentare i rischi collegati all’anestesia e all’intervento, si eseguiranno nuove radiografie, si informerà il paziente nuovamente sul percorso che avrà di fronte.

Da sempre adotto tecniche di chirurgia MIS, Minimal Invasive Surgery, che consistono nel rispetto di principi base, come ridotta incisione chirurgica, risparmio dei tessuti, strumentari dedicati che determinano un evidente miglioramento nei risultati clinici

La fase riabilitativa viene iniziata sempre più precocemente, dal giorno stesso al giorno dopo e sempre a seguito di indicazione del chirurgo e sotto valutazione del fisioterapista. Gli obiettivi sono quelli di diminuire il dolore, prevenire complicanze ( tromboflebiti, aderenze) recuperare l’articolarità, la coordinazione, lo schema del cammino e il recupero e il controllo muscolare.

Il percorso riabilitativo sarà individualizzato in base al tipo di intervento, all’età e alle condizioni cliniche del paziente.

La nuova frontiera per la cura dell’artrosi

L’artrosi, o osteoartrosi, è una patologia degenerativa che colpisce le articolazioni causando una degenerazione della cartilagine, un tessuto che non è in grado di ripararsi, avendo scarsa capacità di auto-guarigione.

 

Come la medicina rigenerativa interviene?

Specifichiamo innanzitutto che si tratta di un innesto autologo, ovvero che le cellule vengono prelevate dal paziente stesso.

Le cellule mesenchimali staminali sono cellule non specializzate in grado di trasformarsi in altri tipi di cellule del corpo. Una volta innestate nell’articolazione danneggiata dall’osteoartrosi, attivano il processo di rigenerazione della cartilagine e quindi di guarigione.

 

Perché proprio il tessuto adiposo?

Il tessuto adiposo presenta molteplici vantaggi rispetto alle altri parti del corpo da cui possiamo attingere le cellule mesenchimali. E’ quello infatti che contiene la più alta concentrazione di esse, è più facile da raggiungere ed il prelievo è meno doloroso e meno invasivo rispetto alle altre sedi.

Le cellule prelevate dal tessuto adiposo hanno anche altre proprietà fondamentali per la cura dell’artrosi:

migliorano la lubrificazione fra le articolazioni;
aumentano la distanza tra i capi articolari riducendone l’attrito;
mantengono lo spazio articolare;
migliorano l’attività visco suppletiva del liquido sinoviale.
Questo trattamento è molto efficace soprattutto nelle fasi iniziali dell’artrosi dell’anca (coxartrosi) e dell’artrosi del ginocchio (gonatrosi). Nella fase avanzata della patologia invece spesso l’impianto di una protesi è l’unica soluzione per eliminare il dolore ed evitare la disabilità.

 

Il trattamento
Effettuiamo questo trattamento attraverso dispositivi medici certificati con marchio CE, in grado di sfruttare le cellule mesenchimali presenti nel tessuto adiposo. E’ una tecnica molto sicura dal momento che avviene a circuito chiuso, riducendo quindi al minimo il rischio di infezione e contaminazione del tessuto prelevato. Può essere eseguita in ambulatorio chirurgico o in sala operatoria, senza necessità di anestesia totale, con la sola sedazione della zona da cui verrà prelevato il tessuto adiposo.

Questa tecnica non garantisce la rigenerazione completa della cartilagine, ma di certo riduce dolore, infiammazione e attrito causati dalla patologia artrosica.

 

Come avviene?

Nella prima fase viene effettuata la Lipoaspirazione. Il chirurgo pratica una piccolissima incisione sull’addome per prelevare il tessuto adiposo attraverso una cannula. Poi applica un punto di sutura ed un bendaggio che il paziente dovrà tenere per una settimana.

A questo punto inizia la seconda fase, quella di Processazione. Il tessuto lipoaspirato viene inserito immediatamente nel kit monouso e lavorato in un sistema chiuso e asettico per eliminare residui oleosi ed ematici, che potrebbero causare un’infiammazione.

Ultima fase, si procede con l’Infiltrazione. Il tessuto adiposo ricco di cellule mesenchimali staminali viene prelevato dal kit e iniettato nell’articolazione dolente.

 

La fase di recupero

Essendo questo un trattamento molto poco invasivo, non è necessaria nemmeno una notte di degenza. Il paziente rimane in osservazione un paio d’ore e poi andrà a casa. La fase successiva non richiede riabilitazione ed accorrete particolari, se non quella di non fare attività sportiva e sforzi eccessivi per 2-3 settimane.

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